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Qom: Spiritualità e tappeti Stampa E-mail

 

fonte (Tappeti Magazine - Paolo)

Introduzione

L’appassionato che da poco si è accostato al mondo del tappeto apprenderà, fra le prime nozioni, che le produzioni persiane di Qom e di Nain sono da ascrivere ad un’epoca recente, cioè alla prima metà del Novecento, anche grazie all’impulso dato dallo Shah Reza Pahalavi.

In realtà questo è strettamente vero per Nain, la cui industria tessile, in crisi a causa della concorrenza dei tessuti importati dall’Occidente, fu riconvertita alla produzione di tappeti, mentre non è a tutti noto che Qom vanta invece una propria tradizione nel campo del tappeto che solo recentemente si è sviluppata in una raffinata manifattura commerciale.

Qom: città santa

Qom è una città santa, seconda in Persia solo a Mashad. Nella città e nel circondario sorgono numerosi monumenti religiosi tra cui una splendida moschea, un gran numero di mausolei di santi sciiti e centinaia di tombe di fedeli.
Oltre ad essere un importante luogo di pellegrinaggio, Qom ha sempre goduto di un ruolo privilegiato grazie alla sua posizione, tra Esfahan e l’area settentrionale.


La città esisterebbe da prima dell’Islam, con il nome di Kumindan (a sua volta da ricollegare all’assira Ambanda), mutato in Qom in epoca islamica.

La città è sorta dall’unione di alcuni piccoli villaggi serviti da un bazar, antesignano di un centro commerciale, che crebbero fino a collegarsi l’un l’altro a costituire un abitato più grande.

Sappiamo che fu distrutta da Alessandro il Grande e riedificata dal sovrano sasanide Kubad I (488-531 d.C.), che le attribuì l’indipendenza amministrativa da Esfahan.

In epoca islamica popolazioni arabe migrarono da Kufa, nell’attuale Irak, verso l’area di Qom, integrandosi pacificamente con gli abitanti delle città esistenti e facendo di Qom un rifugio e un baluardo per i primi sciiti.

A dare un importante contributo alla fama di Qom fu la venerazione di Fatemè (Fatima), sorella dell’imam Reza, detta al-Masumeh, cioè l’Immacolata, che morì e fu sepolta a Qom nel 816 d.C. La sua tomba divenne immediatamente luogo di pellegrinaggio ed il numero dei fedeli che lo raggiungevano ogni anno crebbe continuamente. In particolare, le donne chiedono la grazia della fertilità.

Nel X secolo Qom era descritta come una città ricca, chiusa da una cerchia di mura e circondata da campi resi fertili grazie ad un efficiente sistema di irrigazione, ma nel 1124 subì il massacro dei suoi abitanti ad opera dei conquistatori mongoli; tuttavia gli Ilkhanidi e i Timuridi ne promossero la rinascita.

Il periodo di maggior splendore della città si ebbe sotto i sovrani safavidi, che riaffermarono la fede sciita e incentivarono i pellegrinaggi verso le città sante iraniane di Mashad e Qom, in contrapposizione a quelle irakene di Najaf e Karbala, cadute sotto il dominio degli Ottomani.

I safavidi intrapresero la costruzione del complesso di edifici che formano il santuario (astanè) di Fatima, che dopo il 1629 accoglierà le loro sepolture (Sims E. Abbas-i buzurg. Iran in a new light. In: Hali 2009, 159, pp. 99-101).

Molti altri monumenti religiosi andarono ad arricchire la città che divenne anche un apprezzato centro di studi teologici. Successivamente Fath Alì Shah la fece completare da una madrasa e i Qajar la ornarono con una serie di altri monumenti.

Qom e il tappeto

La maggior parte delle fonti tendono ad escludere una produzione di tappeti locale antecedente alla prima metà del ‘Novecento.

“Nella millenaria città santa di Qom non si sono prodotti tappeti fino al più recente passato. La produzione di tappeti... risale al 1930 e solo dal 1950 è nota anche a noi” (Aschenbrenner E. Tappeti orientali. Caucasici – Persiani. Fabbri, 2000);

“Verso il 1930, per iniziativa di un gruppo di mercanti di Kashan, sorsero a Qom i primi telai” (Formenton F. Il Libro del tappeto. Mondadori, 1999 e Il tappeto orientale. De Vecchi, 1996);

“Qom ... ha la particolarità di non aver mai tessuto tappeti fino all’inizio degli anni ‘30 del XX secolo” (Cohen M. Il mondo del tappeto. De Agostini, 2000);

“La produzione tessile di Qom, le cui origini risalgono agli anni Trenta, è oggi particolarmente abbondante” (Middleton A. Tappeti. IdeaLibri, 2001);

“There was no tradition of rug weaving there during Safavid times” (Eiland III ML. Antique oriental rugs. Antique collectors’ club, 2003);

“L’industria del tappeto non fu fondata prima del 1930... I tappeti della città santa di Qom non dovrebbero risalire, ovviamente, a prima del XX secolo; certamente nessun tappeto del periodo safavide è mai stato attribuito a questa città” (Sakhai E. Guida alla scelta dei tappeti. Magis Books, 1993);

“Qom è sorta come manifattura di tappeti intorno al 1940 per sopperire alla decadenza di quella di Teheran di cui ripete molte caratteristiche tecniche” (Parvizjar B, Condello M. Dizionario enciclopedico del tappeto persiano. Telemarket Communication, 2005);

“L’annodatura dei tappeti è un’attività recente e risale agli anni Venti, per iniziativa di alcuni mercanti di Kashan” (Sabahi T. L’arte del tappeto d’oriente. Electa, 2007)

Nessun cenno da parte di John Eskenazi e della dottoressa Milanesi.

Appena più possibilisti Barry O’Connell: “Qum is a fairly recent weaving center. Major production of rugs only started up in the early 20th century” (persiancarpetguide.com) e Mehdi Zarif: “Per molti secoli il centro ha legato la sua fama alla spiritualità musulmana sciita, relegando l’arte dell’annodatura in una posizione piuttosto marginale. Solo agli inizi del ‘900, grazie all’iniziativa di alcuni intraprendenti mercanti di Kashan incentivati da Reza Shah Pahlavi, la produzione tessile ha conosciuto un nuovo impulso raggiungendo in pochi anni ottimi livelli qualitativi” (Il tappeto orientale. De Agostini, 1998).

Sicuramente in epoca safavide Qom aveva prodotto diversi tessili, tra cui i karbas, rustici tessuti di cotone con i quali si confezionavano gli abiti delle classi medie, ma non era mai divenuta un importante centro di produzione di tappeti a differenza di città come Kashan, Kerman, Tabriz o Esfahan.

Nel XIX secolo vi venivano annodati quasi esclusivamente tappeti di piccola dimensione, da vendere ai pellegrini sciiti che si recavano in visita alla città per la preghiera, come offerta votiva (nazir) per i numerosi luoghi di pellegrinaggio o anche come significativo souvenir della città santa (Parvin MK. Qum. Tappeti unici da una città unica. In: Ghereh 2007, 41, pp. 25-36).

La produzione del Novecento

Dalla fine del XIX secolo, grazie al crescere della domanda occidentale, le esportazioni di tappeti persiani avevano avuto un boom, soppiantando i tappeti turchi, con numeri in costante crescita. Nell’export commerciale stavano prendendo sempre più il ruolo che era stato in precedenza delle sete e altri tessuti.

Lo sviluppo di una manifattura di tappeti a Qom fu fortemente voluto dallo Shah Reza Pahlavi, che visitò Qom nei primi anni del regno, come parte del più ampio progetto per l’incremento della produzione dei tappeti in Iran, come parte di una politica economica improntata alla modernizzazione e al nazionalismo.

Shah Reza favorì l’installazione di un gran numero di telai nel centro urbano e nel circondario, forse ad opera di mercanti di Kashan intorno al 1930, per realizzare atelier che lavorassero per l’esportazione.

Se consideriamo che nei dintorni della città si trovano giacimenti di petrolio e di gas naturale, e di conseguenza quella petrolifera è la più importante industria locale, devono essere maggiormente apprezzati gli sforzi di Shah Reza per avviare un’importante attività produttiva di tappeti a Qom.

Nel 1966 un terzo circa della popolazione della città di Qom lavorava nell’industria del tappeto e all’incirca la stessa percentuale nei villaggi del circondario. All’annodatura si dedicavano in prevalenza donne e ragazze.

I tappeti di Qom sono maggiormente realizzati in un formato medio, ma ne vengono prodotti anche nel piccolo formato proprio dei tappeti da preghiera, destinati ai pellegrini della moschea di Fatima; questi sono opera per lo più dei telai dei villaggi che circondano la città o delle popolazioni nomadi che vi si sono insediate in modo stabile.

Sebbene i tappeti locali non raggiungessero la finezza degli esemplari coevi di Kashan o Esfahan erano comunque tra i più raffinati del paese ed erano apprezzati dal mercato nazionale, attraverso i bazar di Teheran; molti trovavano la via del Medio Oriente e dell’Europa, mentre il mercato statunitense ha iniziato a richiederli solo di recente, anche a causa delle difficoltà legate all’embargo conseguente alle vicende politiche della fine degli anni ’70.

(Qom interamente in seta, recente manifattura. Da: executivetradewinds.com)

Conclusioni

Attualmente l’Iran è una teocrazia: mentre Teheran è la capitale politica del paese, Qom ne è la capitale religiosa, essendo da sempre uno dei centri più importanti per i musulmani sciiti. Proprio a Qom l'ayatollah Khomeini e molti altri eminenti capi religiosi hanno compiuto gli studi teologici e la città ha assunto un ruolo di particolare rilievo nell'ambito del movimento di opposizione all'ultimo shah e durante il periodo della rivoluzione.

La centralità di Qom nel culto sciita ha determinato le caratteristiche della produzione di tappeti, segnatamente quella di favorire l’assolvimento del precetto della preghiera dei pellegrini che venerano i luoghi santi della città.

Di questa produzione con una connotazione prettamente utilitaristica non rimane virtualmente traccia, né essa può avere influenzato le caratteristiche tecniche e iconografiche della manifattura del Novecento.

Possiamo però ipotizzare che la consapevolezza dell’importanza del ruolo della città di Qom nella spiritualità dell'Iran e dell’Islam sia anche al giorno d’oggi di stimolo al miglioramento della qualità dei tappeti prodotti dalle locali manifatture, portandoli a rivaleggiare con gli altri migliori tappeti persiani.

Nota

Non sono riuscito a reperire immagini di esemplari di Qom di antica manifattura. Sarò grato a chi volesse segnalarmene per corredare questo mio modesto contributo a TappetiMagazine.

 
Le Imperfezioni nei tappeti Stampa E-mail

 

(fonte tappetorientale.blogspot.com)

Un luogo comune che viene spesso speso dai commercianti a giustificazione di eventuali imperfezioni riscontrate nei tappeti, è quello che l'imperfezione sia la garanzia di un lavoro realizzato manualmente.

Il discorso è condivisibile quando si tratta di produzioni rurali o nomadiche, siano esse antiche o vecchie, ma è da rifiutare categoricamente quando lo si vuole attribuire a tappeti sbilenchi di città (manifatture che invece sono sempre state caratterizzate dal loro virtuosismo, e dalla loro perfezione nell'esecuzione) o a tappeti rurali o di villaggio contemporanei.

L'ingenuita dell'annodatore, l'indifferenza nel passare da un bagno di lana ad un'altra, le disponibilità relative e occasionali delle tinte, gli impianti iconografici realizzati a memoria, la creatività e l'estro dell'annodatore o persino la sua l'ignoranza (dove per timore di entrare in competizione con la perfezione di Allah, si riservava di inserire di proposito un errore di continuità iconografica) erano tutti ingredienti di spontaneità che caratterizzavano i tappeti nomadici o di villaggio, di quel valore intrinseco che li rendeva al pari di un'opera d'arte, un'opera infatti è unica, e questi tappeti lo erano in tutta la loro semplicità.

Oggi le esigenze di mercato hanno appiattito e perfezionato anche questo mondo, rendendo i tappeti di realtà come il Fars o l'Anatolia orientale dei semplici luoghi di produzione, ove l'annodatore lavora dentro grandi capannoni per conto di grandi imprese private o sostenute dallo stato. Va da se che anche il metodo di produzione di queste realtà un tempo rurali è profondamente cambiato; oggi l'imperfezione non solo è praticamente impossibile ma è diventata sinonimo di "difetto".

I Vaghireh sono ormai progetti stampati su carta millimetrata e rappresentano non l'estro e l'individualità intellettuale dell'annodatore o quantomeno il suo tramando culturale e tradizionale ma le esigenze o le indagini di mercato. Lane ritorte meccanicamente, strumenti di precisione, un'infinità di tinte chimiche a disposzione, ed un approccio di produzione simile alla catena di montaggio permettono oggi la realizzazione di esemplari estremamente perfetti.

Al di là quindi dell'opportunità di questa trasformazione del tappeto (che io non condivido ma che non voglio argomentare in questo articolo), diventa praticamente impossibile spacciare un tappeto storto o imperfetto annodato oggi per un tappeto di qualità; perchè oggi gli strumenti e la mentalità sono talmente cambiati che ogni minimo scostamento dagli standard di produzione rende il tappeto inperfetto un esemplare difettoso o quantomeno di seconda o terza scelta, con buona pace delle erudite spiegazioni esercitate dagli abili commercianti. Perchè quello che è un metro di misura valido per i tappeti annodati vecchi o antichi, non può certo invece andar bene per i tappeti che sono stati annodati oggi, ormai realizzati (salvo rari casi) nell'unico intento e scopo di arredare una casa (quella moderna) sempre più spoglia e desolante. 

 
Il tappeto di Marby Stampa E-mail

(fonte tappetorientale.blogspot.com)

Il tappeto di Marby è uno dei tappeti storicamente più interessanti e celebri che si siano conservati sino ai giorni nostri.

Questo antico tappeto fu trovato nella chiesa appunto di "Marby" in Svezia e con il nome di tale luogo è comunemente conosciuto.

 


 

Le analisi hanno dimostrato che le lane impiegate per l'orditura provengono dal Tibet, le bordure a S fanno pensare a un'origine armena o addirittura protoarmena. Si tratta di un frammento di tappeto molto interessante perchè oggetti analoghi a questo si trovano riprodotti nella coeva pittura italiana. Il campo è decorato da due ottagoni inseriti in quadrati, formati da un bordo ad uncino, e presentano una medesima raffigurazione di uccelli raffrontati con al centro un albero. I motivi sono estremamente stilizzati e l'albero è rappresentato con un disegno simmetrico e speculare. I quattro angoli tra l'ottagono e il quadrato recano disegni geometrici. La cornice è ben proporzionata e consta di due bordi con identici motivi e una fascia centrale. Il disegno si basa sempre sulla greca, alternata nella direzione e lineare nei due bordi, sfalsata e separata da linee oblique e verticali nella fascia.

Dati del tappeto:

  • Esposto presso: Historiska museum - Stoccolma (Svezia)
  • Qualità: Tappeto presumibilmente turco o armeno
  • Provenienza: Anatolia o Armenia
  • Datazione: XV° secolo d.C
  • Ordito: Lana
  • Trama: Lana
  • Vello: Lana
  • Nodo: Simmetrico o anche detto ghiordes
  • Densità nodi: 800 nodi/dmq
  • Impianto: Tappeto a decorazione geometrica
  • Dimensioni: 109 x 145 cm
  • Colori principali: Rosso, verde, avorio, giallo, marrone

Storia del tappeto:

Circa il tragitto di provenienza e l'epoca della sua acquisizione in Svezia sono state fatte numerose ipotesi, tuttavia non si è ancora giunti ad una risposta chiara e definitiva. Di certo si sa che il tappeto sia stato trovato in una chiesa a Marby (Svezia) e anche se non è stato possibile dimostrarne l'esatta utilizzazione liturgica, le condizioni relativamente buone fanno apparire improbabile un suo uso come tappeto da pavimento, mentre un impiego sporadico, ad esempio in occasione della Pentecoste come antepedium o come copertura del pulpito del predicatore, sarebbe del tutto possibile e troverebbe numerosi paralleli.

 
La Tintura dei Tappeti Stampa E-mail

 

fonte tappetorientale.blogspot.som

Le tinture Vegetali

Nonostante la diffusione dei colori sintetici, anche oggi le più prestigiose manifatture d'oriente e quelle domestiche si avvalgono dell'uso di tinte naturali, estratte e preparate secondo modalità ormai molto antiche, nei casi di certi villaggi inoltre l'uso di questi coloranti risulta anche più conveniente rispetto all'alto costo di quelli chimici. Nella famiglia dei colori "naturali" i più famosi sono sicuramente quelli vegetali, essi si ricavano dalle foglie, dalle radici e dai frutti di varie piante che ancor oggi vengono coltivate in alcune piantagioni, in Turchia chiamate "oyalik", e site nei pressi delle zone in cui la tessitura dei tappeti è più intensa.

Dalla Turchia alla Persia la stessa radice della "robbia" viene scortecciata e ridotta in polvere per procurare la tinta rossa. La pienezza del colore è ottenuta lasciando la tinta per un'intera giornata nell'acqua corrente e poi asciugandola. Per avere sfumature rosa-rosse si può mescolare del siero alla robbia e lasciar fermentare al sole; per ottenere l'arancio si possono aggiungere cristalli di acido citrico. Un rosa particolare si ottiene direttamente dal legno del brazilwood. Il viola di origine vegetale si ricava dall'hennè, lo stesso con cui le donne africane si tingono il palmo delle mani e le unghie. Altri coloranti vegetali sono lo le foglie dello zafferano e la scorza della melagrana e dell'isparak, altra pianta da lattice, la curcuma o la bacca del susino selvatico che producono tinte di varie tonalità di giallo. Anche da un legno speciale cinese ed indocinese si ricavano estratti per colore vegetale, mentre dalle foglie macerate degli indicoferi si produce del colore nero e del blu. Il verde si ottiene vegetalmente usando colori blu e gialli variamente dosati tra loro, mentre i grigi e i marroni provengono dalla scorza della quercia, dalla noce di galla e dai malli di noce.

Le Tinture Animali

Tra i coloranti naturali di origine animale che vengono utilizzati per la tintura delle lane, il più conosciuto è quello proveniente da un piccolo parassita delle piante, la cocciniglia indiana e messicana che, schiacciato e polverizzato, produce un colore rosso con sfumature quasi azzurre. Simile alla cocciniglia sono il Porphirophora Hameli che consente la produzione del color porpora ed un altro insetto turco che produce il caratteristico rosso armeno.

Senza bisogno di procedimento alcuno, sono invece le tinte marroni, nere o bianche delle lane degli animali, siano essi pecore, capre o cammelli quando queste vengono usate nella loro colorazione naturale.

Le Tinture Chimiche

Di primo acchito si è indotti a esprimere un giudizio negativo sulle tinte sintetiche, eppure anch'esse hanno dato e proseguono a dare il loro contributo importante nella realizzazione dei tappeti annodati. Prima di tutto, senza di essi, molte produzioni sarebbero ormai certamente scomparse o avrebbero raggiunto prezzi così vertiginosi da non favorirne un commercio florido, ma solo di elite. In secondo luogo la diffusione dei colori chimici ha sicuramente ampliato la gamma cromatica e spesso tale varietà contribuisce a rendere ancora più belli tanti manufatti.

I coloranti chimici possono essere all'anilina, introdotti in oriente dalla Germania nel 1870, o al cromo. I primi sono decisamente scadenti, non resistono all'acqua e sono facilmente riconoscibili poichè al rovescio del tappeto mantengono un tono molto carico , mentre sbiadiscono facilmente al vello. I secondi invece sono buoni sotto tutti i punti di vista. Con sistemi di colorazione chimica si ottengono quei tappeti "scoloriti" o "ridotti" nel colore che incontrano il gusto occidentale per la loro originalità e che furono realizzati per primi dagli inglesi. Le migliori produzioni contemporanee adottano procedimenti di colorazione mista, che affiancano alle tinte naturali alcune tinte sintetiche, utilizzate per particolari ti pi di tonalità e policromie.

 
Tappeti, Automobili e sedie Stampa E-mail

 

per gentile concessione di Luciano Ghersi

Sul finire del secolo scorso, mi recavo nel Nepal per rintracciare un brigante di Venezia, e tintore di lane con erbe himalayane, che tesseva degli splendidi tappeti a Katmandu, all'insegna de Fontego (o fondaco) dei Tartari. Uscito di aeroporto, entrai in un taxi che aveva sui sedili dei piccoli tappeti, annodati a mano. Lo interpretai come un fortunato auspicio ma poi mi resi conto che questi tappetini stanno proprio dentro tutti i taxi nepalesi.

Vent'anni dopo, arrivo nel Sahara algerino e cii trovo altri tappeti nei ai fuoristrada dei profughi-autisti Saharawi, che mi portano a tessere per un nefando progetto di cooperazione.

Prima ancora di incontrare autisti Nepalesi e Saharawi, ho avuto mio padre che, di mestiere, stava molto al volante perché faceva il rappresentante. Il suo ambiente intimo, molto più di casa nostra, era la sua adorata automobile che, anche lui, decorava con curiosi accessori. Sicché, quando mio padre prese atto che questo suo figliolo appena laureato faceva il tessitore e non il professore, mi chiese di tessergli un bel tappeto per il suo sedile di guida.

Insomma, questa idea di infilare i tappeti nelle automobili non è davvero una novità. Certamente, in origine il tappeto sta in terra perché fu inventato da gente che sedeva per terra. Poi, non si legge come né perché, anche i popoli europei (che siedono più in alto, cioè sopra dei sedili) introdussero i tappeti nel loro arredamento. Azzarderei a scrivere un'ipotesi arbitraria ma che trova riscontri documentali negli archivi delle antiche sagrestie. Presumo che il tappeto fu introdotto in Occidente come un arredo sacro per gli altari della chiesa cattolica romana. Certamente, nell'iconografia dei tappeti orientali, si risconta ben poco di cristiano. Ma forse, ai Cristiani, gli tornava anche meglio così: non si calpestano i simboli sacri, è sacrilegio! E infatti, ogni croce fu ben presto bandita dai pavimenti a mosaico paleocristiani.

D'altra parte i Nipponici, astutamente, imponevano ai mercanti europei, che volessero sbarcare e commerciare nei loro porti, di camminare su immagini sacre del Cristianesimo. Così i Portoghesi cattolici non ebbero accesso al Giappone. Mentre invece gli Olandesi protestanti, che non tenevano ai Santi ed erano molto più tolleranti, passeggiavano tranquillamente sulle icone cristiane, intraprendendo fiorenti commerci con il Giappone. Poi oggi si parla di "civiltà moderna dell'immagine" come se fosse una gran novità... mentre invece l'immagine è proprio la radice di ogni civiltà.

Tornando alla questione del tappeto, può darsi che questo arrivasse in Europa con il bottino delle Crociate e si destinasse agli altari di chiesa ma pure ai palazzi dei Nobili. D'altra parte, i Re Cattolici che invasero la Spagna, non vi estirparono insieme con l'Islam pure l'arte del tappeto, che invece continua a fiorire per secoli, con gusto europeo, fornendo di arredi preziosi gli aristocratici laici ed ecclesiastici.

Poi si arricchisce anche il Terzo Stato, la famosa Borghesia, che finalmente avrà la facoltà di adottare i costumi e gli arredi dell'Aristocrazia, sempre da essa invidiata ed ammirata per la sua raffinata e lussuosa cultura... una cultura talmente raffinata da includere i tappeti orientali. Si espande così, in Occidente, la cultura del tappeto... fino alla odierna Ikea, dove si serve pure il Quarto Stato. Così oggi, il tappeto può infilarsi in ogni casa popolare. Mai nessuno qui, però ci si siede, perché prevale l'uso inveterato dei Nobili, che il tappeto avevano adottato, non l'uso dei Nomadi che l'avevano inventato.

Ammesso tutto questo, torniamo alle automobili, alla ricerca di qualche mediazione. L'automobile è sacra: è il massimo altare dell'attuale civiltà, che ammette e giustifica i sacrifici umani degli incidenti automobilistici e, ipocritamente, li chiama: incidenti stradali... come se fosse la strada ad uccidere e non le automobili. Così oggi, occorre infiltrare un tappeto artigianale nell'ambiente sacro e industriale dell'automobile: è un atto politico fondamentale! Ciascuno di questi tappeti bisbiglierebbe qualcosa di nuovo (e insieme, di antico) all'occhio e alle natiche di chi ci siede sopra: la tessitura è un fatto culturale ma la cultura è un fatto quotidiano. Non è sufficiente sostituire i quadri con degli arazzi tessuti: nel ristretto ambito dell'arte, già si può quasi infiltrare di tutto, ma è assai più complesso ed ambizioso infiltrare gli ambienti quotidiani.

Oltre ai sedili automobilistici, occorre di occupare con dei piccoli tappeti anche i sedili statici: che siano questi privati o pubblici, domestici o pure ufficiali. Si dice che un amore straordinario può innalzarci 3 metri sopra il cielo. Intanto l'uomo bianco, e anche l'uomo di colore candeggiato, siedono sempre a qualche decimetro sopra il livello del suolo. Peggio ancora: si siedono a tavola nascondendoci sotto più di mezzo corpo: la cosiddetta metà inferiore. E' così che socializzano, convivono e stringono accordi internazionali: seduti attorno un tavolo ma sotto sotto, e segretamente, gli sporcaccioni si fanno "piedino". Se per caso, al di fuori della spiaggia, dove è lecita persino la nudità del piede, si incontra per caso qualcuno di aspetto civile che sieda per terra, viene spontaneo chiedergli se non stia facendo yoga o qualche altra esotica meditazione.

Si può anche sorridere anzi, si deve... ma senza tappeti, come fate a volare?

 

 
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