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Riconoscere i Tappeti e i Tessili Antichi (1° parte) Stampa E-mail

 

fonte TappetiMagazine - Autore Kailash

Ho pensato di scrivere questa guida per cercare di fare un po' di luce sulla classificazione che si da ai tappeti di antica manifattura.

Infatti, noto spesso che in alcune trasmissioni televisive e anche presso certe gallerie e mercanti, per le proposte di vendita dei tappeti di non più recente produzione si abusi del termine "antico".

Alcuni lo fanno intenzionalmente per dar maggior importanza a ciò che propongono, altri sono in buona fede, ma non sanno ciò che vendono, altri sono sempre in buona fede, perché poi vendono l'oggetto per il suo reale valore, ma si fregiano del termine antico, altri ancora sono in mala fede perché truffano. Non voglio né biasimare né giustificare l'uno o l'altro comportamento, giacché ognuno è responsabile delle proprie azioni, ma questo fa si che si generi confusione per una chiara e trasparente trattativa.

Siccome ormai gran parte della diffusione di marketing e di vendita avviene on-line o per mezzo dello strumento televisivo, siamo sicuri che ciò che vediamo da un'immagine sia attendibile al 100%, perché chi acquisti abbia le garanzie necessarie di tutela e sicurezza? Anch'io, che da più di 15 anni mi dedico al collezionismo tessile, mi rendo conto alcune volte, che è difficile valutare un tappeto od un tessile solo dall'analisi fotografica, senza avere il tessuto realmente tra le mani.

Una foto dice molto se chi guarda conosce, ma non dimentichiamo che molto dipende dalla restituzione fotografica di ciò che è rimasto impresso sulla pellicola, sul supporto magnetico o elettronico. Senza poi contare che esistono una moltitudine di trucchi per modificare e rendere più apprezzabile ciò che crediamo di vedere. Si possono regolare i colori, correggere l'intensità della luce, mascherare alcuni difetti e, se uno è esperto, si possono fare dei veri e propri capolavori.

Quindi attenzione, è già difficile analizzare un tappeto dal vivo, specialmente se è d'epoca, figuriamoci da una foto.

E' bene comunque ricordare che anche se un immagine è altamente attendibile, nella realtà i trucchi più usati per retrodatare i tappeti sono i seguenti:

Il più banale, retrodatarne l'epoca (es. se è del 1950 asserire che è del 1915, se è del 1915 asserire che è del 1880 ecc.);

Inserimento di date anteriori all'epoca d'annodatura;

Sottoporre i tappeti ad usura e lasciarli al sole, lavandoli con lavaggi chimici che ne smorzino i colori;

Sui tappeti usurati, ritoccare le linee principali con dei colori per tessuti, ed a volte anche zone ove affiora l'ordito e la trama, in modo da rivitalizzare l'intera composizione, questo metodo è usato più di quanto non si creda;

Prendere dei tappeti vecchi, molto ben disegnati con materiali simili a quelli antichi e ritoccarne il vello; incidere le lane color nero e marrone tramite dell'acido che ne simuli l'ossidazione ed uso di apposite pietre, per sfregare il vello e renderlo più consunto, lavaggio per simulare la patina;

Sostituire parti del vello usurato o che abbia avuto un decadimento di colore;

Togliere dal vello quei colori che si presume anilinici o di altra origine chimica (arancione statico e stridente, rosso violento, rosa confetto, color fucsina e malva, verde duro e giallo senape spento) sostituendoli con tinture naturali (vegetali,animali o minerali) per retrodatarne l'epoca;

Se ne vale la pena dal punto di vista economico, alcuni bravi restauratori prendono dei tappeti antichi interi molto usati e rovinati, ma che abbiano ancora una bella composizione e l'ordito e la trama il più possibilmente originali, e ne ricostruiscono interamente il vello; il vello nuovo poi viene appositamente trattato con complessi procedimenti che ne simulano l'invecchiamento, cosicché poi il tappeto può venir spacciato per intonso ed in ottimo stato; stessa cosa si fa per i frammenti, ricostruendo le parti mancanti.

Il livello più sofisticato ed insidioso è quello di riprodurre tappeti antichi storici partendo da zero,utilizzando lane vecchie e tecniche complesse di lavorazione per ricreare gli esemplari originali, in poche parole riuscire in ciò che il più famoso restauratore e falsario di tutti i tempi Theodor Tuduc riusci a fare all'inizio dei primi del novecento, seminando il panico fra i collezionisti e i musei di tutto il mondo; la scarsa reperibilità sul mercato di tappeti precedenti al 1800 e una domanda comunque sostenuta sta pericolosamente portando in Turchia e non solo, alcuni mercanti e restauratori senza scrupoli a ricreare ciò che non si trova più, spacciandoli per veri. Quindi bisogna sempre sapere ciò che si va a comprare e da dove proviene.

Queste sono alcune delle pratiche che vanno dalle più semplici a quelle più sofisticate per far passare tappeti con molti anni, molto rovinati e di scarsa valenza artistica e storica per dei pregiati esemplari antichi da collezione in ottimo stato di conservazione. Perché è bene ricordare che nel collezionismo tessile bisogna ricercare quei tappeti e tessili che abbiano ancora qualcosa da raccontare dal punto di vista artistico e storico e che siano stati eseguiti prima dell'avvento della massiccia richiesta occidentale per l'esportazione ad uso commerciale-arredativa. Si possono prendere in considerazione anche dei frammenti, ma che siano originali e che preservino ancora la loro bellezza e la freschezza di un tempo, e non siano stati gravemente compromessi con interventi di restauro invasivi.

Ma che cos'è in realtà un tappeto o un tessile antico e come lo si riconosce dalla moltitudine di esemplari semi-antichi, vecchi, semi-vecchi, contemporanei, dalle copie più o meno riuscite, dalle nuove produzioni a colorazioni naturali eseguite secondo le antiche tradizioni, (oggi abbastanza rarefatte) o naturali "sintetizzate in laboratorio" e dai falsi antichi che se ben eseguiti sono molto insidiosi anche per i collezionisti?

Come si fa a distinguere il valore storico, artistico, stilistico, iconografico, etnografico ed attribuirgli un valore economico ad esemplari anche della stessa area di produzione ed epoca?

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Il tappeto antico per un occhio esperto non è difficile da riconoscere, poiché esso è come un libro aperto e non può mentire. E' un oggetto che ha una sua storia legata intimamente ai popoli che l'hanno creato, e la storia è comprensibile solo a chi l'ha studiata bene.

Il tappeto antico inoltre, strutturalmente ha una sua "tridimensionalità" da cui scaturisce un codice identificativo dato dalla scelta, composizione, consistenza dei materiali e dal tipo d'annodatura, oltre che da un insieme di parametri che passatemi il termine io definisco come una sua "anima" figlia di quel tempo che l'ha creata e la lettura va fatta comprendendo tutti questi aspetti.

Mi spiego: per sapere se un tappeto è d'epoca bisogna saper analizzare diversi aspetti, e per far ciò bisogna prima aver eseguito alcuni passi che gettano le basi per la comprensione di ciò. Innanzitutto se si vuole capire qualcosa di un qualsiasi campo di cui sappiamo poco o di cui non abbiamo nessuna cognizione, l'unica cosa da fare per primo è documentarsi in qualche buon libro. Non se ne saprà mai abbastanza, ma sicuramente in futuro sbaglieremo molto meno le nostre analisi e considerazioni.

Esempio, per l'argomento vastissimo dei tappeti si dovrebbe comprendere perché la storia della tessitura si è concentrata in determinati luoghi piuttosto che in altri. Per tappeti, noi occidentali, ci rifacciamo sempre al mondo "orientale", ma ci sono tappeti anche di altre provenienze basti pensare alla nostra stessa Europa, per citarne alcuni basti pensare ai tappeti francesi di Savonnerie e di Aubusson, o ai tappeti spagnoli di Alcaraz e Cuenca, o a quelli inglesi di Axminster.

In verità è giusto partire ad esaminare i tappeti chiamati "orientali", perché da approfondite e non ancora concluse indagini storiche la tessitura annodata si pensa che si sia sviluppata tra le antiche terre dei Persiani Achemenidi, nell'antica Anatolia e tra gli antichi popoli nomadi del Caucaso e dell'Asia centrale, ci sono diverse teorie a riguardo e tutte particolarmente interessanti e valide.

Bisognerà quindi documentarsi sulla storia che ha caratterizzato almeno i paesi del bacino del Mediterraneo, del Medio Oriente, del Caucaso, del Turkmenistan e dell'Asia.

Qualche nozione di archeologia ed etnologia per cercare di dare un' interpretazione alla simbologia arcaica è necessario apprenderla, anche se bisogna sapere che è un campo estremamente complesso che si presta a facili speculazioni e a meno che non si sia antropologi è meglio non avventurarsi in spiegazioni non suffragate da alcuno studio.

Si dovranno conoscere i ritrovamenti più antichi dei tappeti e dei frammenti antichi annodati, dal tappeto di Pazyryk, risalente a circa il 500 A.C., ai frammenti copto-egiziani del III e V sec. D.C., e per andare ancora più a ritroso nel tempo si può arrivare fin quasi agli inizi del Neolitico per i tappeti a tessitura piana. Per maggiori approfondimenti si rimanda ai testi che trattano le ricerche archeologiche dei Kurgan di Pazyryk e delle civiltà delle steppe dell'Altai, ai siti di Catal Huyuk. in Anatolia ed alle teorie sulla Dea Madre.

E' necessario avere una approfondita panoramica delle produzioni più antiche dei tappeti del periodo compreso fra l'alto medioevo e la fine del XVIII secolo, poiché quasi tutte le produzioni ottocentesche ne sono influenzate o ne derivano.

D'obbligo è visitare i più importanti musei nazionali ed internazionali che comprendano collezioni di tappeti e tessili antichi, sono un ottima scuola per avere un parametro di riferimento su ciò che viene selezionato dai musei. Il riconoscimento a livello internazionale di un manufatto come oggetto d'arte universale è un ottimo mezzo di confronto per valutare ciò che viene proposto sul mercato d'alto antiquariato.

Molto importante e poi andare alle mostre specializzate, ed alle aste, si possono toccare con mano i manufatti antichi, la maggior parte di quelli in commercio si possono attribuire al XIX secolo e ai primi del XX secolo quelli semi-antichi e vecchi. Alcune volte agli eventi più importanti si possono ammirare esemplari del XVI, XVII e XVIII secolo. Le mostre sono l'occasione dove si possono rivolgere molte domande agli espositori, specialmente se vi sono noti mercanti che possono a volte anche essere importanti collezionisti. Prestate attenzione ai prezzi di mercato, per esempio cercate di capire perché per un tappeto frammentario e grossolano si possono chiedere cifre molto alte mentre per uno apparentemente più bello e più fine di meno, perché per tappeti simili fra loro i prezzi oscillino considerevolmente; fatevi queste domande. Osservate come si muove il mercato e che oscillazione di prezzo hanno determinate tipologie.

Come vedete non è semplice affrontare con semplicità il mondo del tappeto antico, ma dopo aver compiuto i primi passi ed aver maturato un minimo d'esperienza, ci si può inoltrare nell'analisi più approfondita dei manufatti vecchi ed antichi.

(fine Prima parte)

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I Tappeti Armeni (2° parte) Stampa E-mail

 

(per gentile concessione del Dr. Arà Zarian)

(Vai alla prima parte)

Tipologie principali del Tappeto Cristiano Armeno

 

Il Tappeto Gohar

Il Tappeto "Gohar" porta il nome della donna armena creatrice di questo stile artistico nell’anno 1680 come inciso sull’estremità superiore dello stesso tappeto. La composizione strutturale, il colore, le caratteristiche figurative si riferiscono ai noti tipi di vishapagorg "tappeto a drago".

Movimentata la storia di questo tappeto che inizialmente fu rubato da una chiesa armena, alla fine del XIX secolo, e venduto a un signore inglese. Fino al 1899 questo tappeto è stato custodito nel Museo Britannico di Kensington, in seguito passò al Victoria and Albert Museum. Venduto all’asta di Londra nel 1977, il tappeto Gohar finisce a Johannesburg e di seguito negli Stati Uniti d’America.

Il primo studioso a pubblicarlo è stato F. R. Martin (Sammlungen aus dem Orient in der allgemanien Kunst und Industrie, Stockholm, 1897). Lo stile geometrico assiale di questo tappeto riporta al centro un medaglione a croce con raggi circondato da un bordo roseo. La predisposizione dei successivi medaglioni ricorda la composizione del tappeto artzvagorg  "tappeto ad aquila".

Tutto il campo del tappeto è sparso di fiori che assumono forme d’intreccio, elemento caratteristico per i tappeti chiamati tzaghkagorg  "tappeto a fiori". Il cornicione del bordo esterno è composto di triangoli articolati di colore bianco-giallo e rosso-verde. Questo tappeto, unico nel suo genere, ha avuto il pregio di non esser mai stato ripetuto, se non in singoli elementi che si riproducono in altre tipologie.

 

I Tappeti Vishapagorg

Il cosiddetto "tappeto a drago" o a "dragone" è considerato il più antico nella sua tipologia e non presenta analogie nell’arte del tappeto sia armeno che caucasico. Il pezzo più antico si ritiene sia quello, diventato ormai famoso, acquistato dal Grafa Damasco nel 1900 e poi venuto in possesso del museo berlinese. A causa della seconda guerra mondiale non ne restano che frammenti. Sarebbe dello stesso periodo (inizi del XVI secolo) un altrettanto importante frammento conservato al Museo Bardini di Firenze. Esistono poi importanti esemplari custoditi presso il Museo della Storia dell’Armenia a Jerevan e presso l’esposizione del Museo della Storia della Città di Jerevan in Armenia.

Gli esemplari più antichi sono evidenziabili da un motivo a traliccio caratterizzati dall'uso di motivi floreali e zoomorfi. Nel campo, generalmente di colore rosso, compare la figura del drago, spesso in coppia; in particolare, schiena contro schiena che simboleggia l'immaginario collettivo di molte culture come essere sia malefico sia benefico.

Nei miti della creazione i draghi sono per lo più esseri primitivi brutali che devono essere sconfitti dagli Dei. In seguito, ad assumere il ruolo di uccisori di draghi furono gli eroi e i progenitori della stirpe nobile. Nell'epopea popolare armena, gli eroi Sanasar e Baghdassar sconfiggono il drago per liberare il popolo dal male. Il simbolismo cristiano vede nel drago un’incarnazione del dominio sconfitto dall’arcangelo Michele e precipitato nell’inferno. Per questo i draghi spesso sono collegati al fuoco e sono rappresentati negli atti di sputare fuoco. Nell’Oriente il drago è visto come simbolo di fortuna, in grado di produrre l’elisir dell’immortalità.

Altre figure zoomorfe, come la fenice in lotta, il leone ecc., completano talvolta la decorazione. Nelle bordure, prevalgono arabeschi e palmette. Tutti i colori sono piuttosto vivaci. I centri più importanti di tessitura di questi tappeti erano: Van, Mush, e Karin nell'Armenia Storica.

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Tappeti ad aquila (Artzvagorg)

Il “re degli uccelli” è un noto simbolo della smisurata potenza e dell’attitudine alle armi. Per il mondo cristiano nel suo volo ad alta quota si vedeva l’equivalente dell’Ascensione di Cristo, e l’efficacia benefica della luce spirituale. Come uccello distruttore di serpenti e draghi l’aquila simboleggia la vittoria della luce sulla forza del male. Corrisponde ai significati che nell’antichità venivano attribuiti a Giove.

Questi tappeti, tipicamente armeni, si caratterizzano dalla presenza di medaglioni centrali e angolari con raggi chiamati dagli stessi tessitori "aquile". Al centro del medaglione, si evidenziano delle frecce scure che rappresentano il disco solare. Il contorno, caratterizzato da colori vivaci ed è ornato da motivi di "vishap", da ali di uccelli e vari simboli. Lo sfondo è prevalentemente rosso. I medaglioni spesso sono contornati da fascette giallastre e marroni. La provenienza di questi tappeti è considerata la provincia di Artsakh, particolarmente la città di Shushì. Questi tappeti vengono diffusi a partire dal XVII secolo.

 

 

Tappeto floreale (Tzaghkagorg)

II motivo iniziale (draghi, fenici, lotte d'animali) si arricchisce sempre più di ampie motivazioni vegetali tutte allungate verso l'alto, disposte in varie file. La costruzione a traliccio dà la sensazione di un disegno senza fine, caratteristica propria dei tappeti armeni. Spesso si inseriscono nel campo serie di palmette, grandi palme e nastri di nuvole. Il fiore è il simbolo universale della giovinezza, il fiore, in virtù della disposizione (stella dei suoi petali) è divenuto presso molti popoli l’emblema del sole, dell’orbita terrestre del centro dell’universo. Inizialmente il fiore ha simboleggiato l’energia vitale, la gioia di vivere, la fine dell’inverno e la vittoria sulla morte. Un bastone di legno secco che torna a produrre germogli freschi si trova in molte leggende popolari nell’Oriente.

Trattandosi di tappeti dalle dimensioni abbastanza ampie, tali da escludere la provenienza nomade, essi vengono ricondotti a manifatture stabili.

II tipo di tappeto a traliccio vegetale copre un lungo arco di tempo che può andare dal XVI al XVIII secolo. Anch'esso rivela il medesimo processo di trasformazione delle forme già descritto nei tappeti a drago.  Le ordinazioni più varie inducono i centri di Kuba, Kasakh, Gharabagh, Talish ed altri, ad incrementare il numero dei disegni in risposta ad apposite richieste di mercato.

 

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Tappeto a croce stellata (Khatchagorg-Astghagorg)

Del gruppo dei tappeti a stelle e croci fanno sicuramente parte alcuni tappeti del Caucaso di origine armena. Tale motivo, per il fascino della sua decorazione, è ripreso un po' in tutto il Caucaso tanto che esistono disegni “lesghi” su strutture di tappeti Shirwan e Kuba. In questi tappeti gli "ensi" sono caratterizzati da un motivo a forma di croce.

Per questo, in Turchia, sono anche impropriamente chiamati khatchlù, che in armeno significa “croce”. Questo motivo divide il campo in quattro comparti movimentati da disegni arcaici. La parte superiore dell’ensi presenta solitamente una o più cuspidi, mentre la parte più bassa è occupata da un’alta alam, cioè da una fascia in parte annodata e in parte tessuta a kilim, la cui funzione è di proteggere il manufatto dalla consunzione provocata dallo strofinio sul terreno.

Sull'origine armena di tale decorazione si possono suffragare dati attendibili attribuibili al rinvenimento di pavimentazioni a mosaico risalenti all'VIII secolo D.C. in Armenia, Siria, e in Cilicia che potevano già esser prese a modello per tesser i primi tappeti a croci stellate dell'alto medioevo.

Una chiave di lettura dei tappeti a croci stellate è stata invece dettata da studi che riguardano il carattere zoomorfo nascosto nelle decorazioni apparentemente geometriche. In effetti, se guardiamo bene com'è composta una stella armena, possiamo notare che essa nasconde, come in un rebus, teste d'uccello semplici e doppie dal profilo scalettato. Questa lettura può esser fatta sia leggendo il disegno primario che il disegno in negativo; ci accorgeremo che il disegno non è casuale e che si compenetra volutamente in un perfetto equilibrio.

La simbologia che da vita a una mirabile allegoria d'allegria e di gioia, dettata dall'esplosione di stelle e da losanghe uncinate che illuminano un profondo cielo blu, e che portano in se il seme della vita e della rigenerazione. La croce rappresenta l’orientamento nello spazio, il punto d’intersezione tra le linee, l’unificazione di molti sistemi dualistici sotto forma di una totalità che corrisponde alla forma umana con le braccia aperte (l’uomo vitruviano di Leonardo).

Assieme al cerchio costituisce un elemento strutturale che sta alla base di molte figure di meditazione e si ritrova nelle piante di diverse chiese armene, Edjmiatzin, Bagaran, Mastarà, Avan, Hripsimè. Non per caso, nella letteratura scientifica che tratta l’architettura religiosa armena, possiamo leggere: “pianta a croce armena, tetraconco a croce armena”.

 


Tappeto a serpente

Uno dei tanti tappeti particolari è il tappeto a serpenti della regione di Artzakh, ora parte della Repubblica Autonoma del Gharabagh Montano. Il serpente è noto come animale simbolico considerato sempre in maniera molto contraddittoria. In molte culture arcaiche simboleggia il mondo inferiore e il regno dei morti. Il significato del serpente collega le idee di vita e di morte in modo così specifico che si può dire, non esita cultura che abbia ignorato la sua esistenza. La saggezza popolare dice che il serpente prima di bere l’acqua dalla sorgente, lascia il veleno nella sua caverna, allo scopo di mantenere l’acqua pura.

La composizione dei tappeti a serpenti si focalizza sulla presenza di grandi medaglioni disposti sull’asse verticale del tessuto a rombo o esagonale al centro del quale, si dispongono le svastiche dalle quali spuntano rampolli terminati da stelle. Il quadrato contenente la svastica è circondato da otto serpenti. La composizione simboleggia la creazione dell’universo protetto dai serpenti. Il campo circostante è seminato da figure umane, animali, uccelli, strumenti di lavoro come a simboleggiare la presenza della vita e della quotidianità. I colori che prevalgono maggiormente sono il rosso, l'azzurro scuro, il violetto intenso e il giallo chiaro. Il bordo esterno è caratterizzato da un motivo floreale dentellato.


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I Tappeti Armeni (1° parte) Stampa E-mail

 

(per gentile concessione del Dr. Arà Zarian)

Il tappeto armeno nacque come oggetto d'uso comune e divenne espressione artistica già nei tempi antichi. Tra le decorazioni più usate, simboli come la svastica, la ruota, il cosmogramma, i simboli della vita, dell’eternità, la croce, i simboli floreali, vegetali e animali, come quelli che si ritrovano sui graffiti di Ughtasar (regione di Vayk in Armenia centrale) del V° millennio a.C., oppure sulle steli votive “vishap”, poste in rettilinea lungo i bacini e i percorsi d’acqua. Animali e simboli totemici o geometrici, in generale, rappresentano una cultura preesistente che ha segnato nel tappeto tappe importanti e espressive.

 


(Centri di tessitura e fabbricazione di tappeti armeni nel X sec.)

 

Spesso si tende ad omettere e a non riconoscere appieno l’apporto fornito a quest'arte dagli armeni e della valenza che attraverso essi è stata trasferita e tramandata nel tappeto. L'uso del tappeto come strumento di preghiera nella cultura armena anticipa infatti quella dei musulmani; alcuni studiosi teorizzano che l'uso e l'espressionismo islamico delle popolazioni arabe per l’arte del tappeto derivi proprio dalle popolazioni cristiane armene. Gli esperti sanno bene che i tappeti venivano annodati dai caldei, dai curdi, dai nomadi, dai persiani e dai cinesi. La peculiarità è che i tappeti cristiani sono stati tessuti dagli armeni sin dall’inizio dell’adozione del cristianesimo in Armenia nell'anno 301.

Un notevole contributo all’argomento si trova nell’interessantissimo libro del tedesco Volkmar GantzhornIl Tappeto Cristiano Orientale “” (Benedikt Tascen Verlag, Köln, 1990), libro che porta un fondamentale contributo alla conoscenza dei materiali utilizzati per la tessitura, dei colori naturali d’origine vegetale, l’uso di simboli della tradizione armena, le tecniche di tessitura, i segreti del mestiere tramandati da madre a figlia, le caratteristiche cromatiche, compositive e infine, la particolare composizione artistica dei tappeti cristiani armeni a segnalare la presenza di varie tipologie compositive che nascono in precisi luoghi sull’Altopiano Ararateo e si diffondono in una vasta area geografica anche di credo musulmano, risentendo interessanti influenze ed elaborazioni stilistiche interpretate con incredibile creatività e varietà simbolica. Questo fatto rappresentativo si ricollega perfettamente alla tipologia dell’architettura delle chiese cristiane armene e la diffusione delle composizioni architettoniche nel Medio Oriente e in Europa.

 

 

(Presenza degli armeni nel Caucaso e In Turchia prima del genocidio del 1915)

 

Fonti greche, romane, persiane, indiane e georgiane documentano inoltre l'ottima qualità della lana in Armenia, richiesta da molti paesi e presente in numerose varietà note come heghn (vello), asr (bianca, lucente di pecora), asrakerp (schiumogena), asrapajy (bianca, lucida), gzat (ribattuta, pettinata), kazn (bianca, lucicante) e dchur (lana di caprone di angor di pelo fino).

Ben noti erano anche i colori naturali conosciuti dai greci e dai romani con i nomi: rubia, horobitis (rosso),  armenium (azzurro); famoso è anche il vordan karmir, colorazione ricavata dai vermi di radice di cocciniglia, molto diffusi nella Pianura dell'Ararat.

E' da segnalare il fatto che molti dei più affascinanti tappeti presenti in commercio oggi hanno temi che richiamano i tappeti tipicamente armeni come il Gohar, Vishapagorg, Arzvagorg, Khatchagorg, Tzaghkagorg e Trchnagorg di cui si parlerà più avanti.

Tanti tappeti armeni portano il nome della località di produzione e delle scuole di tessitura e sono conosciuti come tappeti del gruppo di: Lorì, Sevan, Pambak, Dilidjan, Gharabagh, Artzakh, Ararat, Vaspurakan, Gegharkunik, Gokhtn, Gugark, Karin, Sebastia, Kars, Syounik, Shirak, Nor Djunghà, Anì, Dvin, Arzn, Mush, Van, Erzrum, Izmir, Kuba.

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Tappeti armeni in Italia

A conferma della veridicità della tradizione secolare armena di quest’antico mestiere, che in Armenia era prerogativa femminile, si segnala un fatto curioso e unico con riferimento ad una vera scuola e fabbrica di tessitori di tappeti armeni in Italia, nei pressi di Bari. In seguito agli atroci avvenimenti del genocidio degli armeni tra il 1915 e il 1918, nel quale, come ben si sa, il governo ottomano dei Giovani Turchi trucidò un milione e mezzo di armeni, si assiste all’insediamento di una colonia di profughi armeni nel capoluogo pugliese dove si forma un villaggio chiamato Nor Arax. In un primo momento i profughi furono collocati in un capannone vicino a una fabbrica di tappeti, dove ebbero occasione di mostrarsi all'altezza della loro fama di tessitori. Nel 1926 con l’intervento del poeta armeno Hrand Nazariants, anche lui scampato ai massacri, il ministro Luzzato garantì ai rifugiati sei padiglioni su un terreno acquistato dall'ANIMI (Asssociazione Nazionale degli Interessi nel Mezzogiorno) e nel 1927 l'Acquedotto pugliese donò una fontana garantendo acqua potabile; all'inaugurazione di tale evento parteciparono tutte le massime autorità istituzionali ed ecclesiastiche dell'epoca. Grazie quindi all’opera di sensibilizzazione svolta da Nazariants, dalle autorità italiane e di alcuni privati, a Bari sorse la prima “Società Italo – Armena dei tappeti orientali“.

 

 

Spostamenti dei centri di tessitura armeni dopo il genocidio del 1915)

 

La presenza di maestranze armene a Bari fece di questa città un’importante centro di produzione così come, con ben altre proporzioni, Marsiglia dove si erano stabiliti circa trentamila Armeni. L’attività della tessitura ebbe tale successo da incentivare l’apertura di altre scuole in Calabria ed una ad Oria, nel brindisino. Dagli armeni i pugliesi impararono l'arte della tessitura dei tappeti orientali, tanto che quelli prodotti a Bari furono acquistati da re Faruk, da Pio XI, dalla Regina Elena e da diversi enti, come la Banca d'Italia e l'Acquedotto pugliese.

 

Il simbolismo e la criptatura

I collezionisti di tappeti ben conoscono i preziosi esemplari di tappeti armeni dalla simbologia composito-criptata, stratagemma utilizzato per nascondere ai maomettani sia il figuralismo del tappeto, sia il significato cristiano che tale figuralismo rappresentava. Tale abilità nel mascherare i simboli del cristianesimo armeno, si ritrova anche nell’arte dei khatchkar (croci scolpite sulle pietre), dove il volto di Gesù Cristo scolpito in rilievo sulla pietra, assume fisionomia selgiuchide con occhi a mandorla, trecce ai lati del volto e indumenti tipici dell’arte musulmana. L'intento di tutto ciò era semplicemente di camuffare i simboli appartenenti al cristianesimo e favorirne la diffusione e quindi la sopravvivenza.

Il popolo armeno fu infatti costretto spesso nella sua storia alla diaspora, decimato dalle persecuzioni, sottomesso alle dominazioni straniere e sottoposto a trasferimenti forzati soprattutto verso la Persia Meridionale e la Grecia Settentrionale. Per proteggere il proprio culto e la propria identità dalla soverchieria islamica, gli armeni, grandi maestri di tessitura già prima ancora dei tempi di Marco Polo, diedero ai simboli dei loro tappeti un linguaggio che era destinato ai soli "iniziati". Si può affermare quindi che il simbolismo criptato e l’aniconismo simbologizzato hanno costituito fin da subito una scelta obbligata del popolo armeno, tappeti dalle simbologie composite dunque, che osservati con attenzione potevano dare una interpretazione completamente diversa, ma soprattutto cristiana. Allo stesso tempo, nel molteplice ambiente culturale e religioso dell’area caucasica, si assiste, nelle tessiture di origine islamica, all’utilizzazione di segni geometrici e ornamentali, che spesso, ricalcati  in modo quasi meccanico, non trasmettono tutta la carica simbolica e ideologica tipicamente riscontrabile nei tappeti di origine armena, dove ogni elemento, caratterizza una concreta idea di una rappresentazione stilizzata della cristianità armena.

Altra fenomenologia interessante, non meno diversa per significato e dinamica, è data da quei decori di tipo “occidentale” che spesso si possono riscontrare nei tappeti armeni o d’influenza armena provenienti dalla Persia, dalla Turchia e dal Caucaso in generale. La molteplicità dei simboli occidentali utilizzati in questi tappeti proveniva infatti dall'araldica: ricco bagaglio di simboli, alcuni dei quali pare provenuti direttamente dalla simbologia armena pre e post-cristiana. Ad esempio, su tutti i khatchkar e anche nei rilievi architettonici, la forma armena del giglio, ossia la "radice lessa" si presenta fin dal settimo secolo nella sua protoforma di “E” a forma di omega, come radice della croce, come simbolo della resurrezione.

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Con l'intercambiabilità propria di questi concetti, nel primo e nell'alto Medioevo troviamo spesso nella miniatura e nei tappeti, invece della croce, le "radici lesse”, sotto forma di albero della vita o del paradiso, per lo più incoronate dalla croce o collegate a esse. Per esempio nel rilievo di bronzo della porta a San Zeno a Verona è ancora chiaramente riconoscibile il collegamento compositivo con i khatchkar.

È importante fare anche un accenno al simbolo della doppia aquila caucasica, simbolo utilizzato da Costantino il cristiano e che sia nel passato che oggigiorno viene spesso utilizzato nei ricami di tanti “Kazak”. Si ritiene che i noti motivi dei cosidetti "kazak ad aquile" o Celaberd, si siano allontanati dalla forma di partenza, perdendo in seguito, proprio per la scelta afiguratistica, quell’aderenza alla natura, e che molti corpi di uccelli si siano uniti in una "infiorescenza gigantesca" oppure in un "medaglione raggiato". La verità è che abbiamo a che fare ancora una volta con la fenomenologia della simbologia composita armena, in questo caso un simbolo di aquile composite.

 

Testimonianze storiche dei tappeti armeni

In Islamic Textiles di Robert Bertran Serjeant, ritroviamo un’attenta panoramica della diffusione dei tappeti annodati dal sesto al tredicesimo secolo, mentre con lbn Khaldun, massimo storico e filosofo del Nordafrica, considerato un sociologo ante litteram delle società araba, berbera e persiana, abbiamo la testimonianza della più antica menzione dei tappeti armeni e precisamente il riassunto dei ruoli delle imposte naturali, tratti da un’opera intitolata Djirab al-Dawla di Ahmed ibn ‘Abd al-Hamid della fine dell’ottavo secolo, dove si afferma che gli armeni erano tenuti a fornire ogni anno, a titolo d’imposta, venti tappeti (busut mahfùra) ai califfi di Bagdad. La notizia è integrabile a quella di Tha’alibi (prima del 1021) il quale riferisce che gli armeni, a quell’epoca, dovevano fornire al sultano buydico, assieme ad altre imposte, ogni anno trenta tappeti.

Nel 768, Tabari menziona un arminiya, cioè un tappeto armeno. Kàroly Gombos cita lo storico arabo Muhammed Barishini, il quale riferisce che l’emiro Yusuf abu-Sadsh nel 911 aveva inviato, insieme ad altri doni, al suo califfo Muhtashir sette tappeti armeni.

Troviamo una precocissima menzione di tappeti annodati armeni anche nell’Enziklopadie des Orientteppichs, in cui Iten- Maritz cita N. Adonts, il quale afferma che nell’813 il khan bulgaro Krum nelle sue scorrerie in Oriente aveva fatto bottino di Armeniatika Sronglomaletaria, cioè di tappeti armeni di lana annodati. La stessa fonte cita anche lo storico Bayhaki, il quale nel 1025 riferisce che Mahmoud di Ghazna aveva fatto omaggio al governatore del Turkestan orientale, Kadir khan, di pregiati tappeti armeni.

Nell’Islamic Textiles altri tappeti annodati armeni vengono citati sia nell’Hudud al-‘Alam, sia da parte di Makdisi (mukkadisi) e di lbn Haukal, entrambi nel decimo secolo. Ibn Haukal precisa l’ubicazione dei centri di produzione degli armeni: essi vengono prodotti a Marand, Tabriz, Dvin e in altre province dell’Armenia. Nell’Hudud viene nominata anche la provincia di Shirvan e, come luogo di produzione dei mahfùrì, vengono specificate le località di Shirvan, di Khursan e di Derbent.

Per quanto concerne l’occidente, diverse fonti riferiscono la produzione nel decimo secolo, di tappeti armeni annodati in Andalusia, manufatti di aspetto simile ai migliori tappeti annodati armeni di qualità superiore. Il centro di produzione viene fatto risalire nella provincia di Murcia, città di Murcia, a Tantala e ad Alsh, corrispondente alla colonia greca di Hemeroskopeion.

Gli storici antichi non riferiscono di alcuna produzione di tappeti nel Turkestan occidentale, anche se si conoscevano merci provenienti dalla Cina e dall’India.

 

L'invasione Selgiuchide

La maggior parte dei centri di annodatura dei tappeti armeni è stata danneggiata e distrutta in seguito all’invasione selgiuchide del 1071. Nell’Armenia occidentale, l’unico centro di fabbricazione di tappeti annodati in tutta la regione del sultanato di Iconico, sembra essere Kalikala, attuale Erzorum, dal cui nome deriva il termine arabo Kali (hali in turco), designante il tappeto armeno. Nello spazio culturale dell’Armenia orientale invece, sopravvivono i centri di Dvin (Dabil), famoso per i tappeti porpora che vi si producevano, di Tabriz e la regione di Shirvan.

Inoltre grazie ai trasferimenti forzati, soprattutto verso la Persia meridionale e la Grecia settentrionale, nel primo secolo ebbero luogo due grandi ondate migratorie, con le quali gli armeni misero piede non soltanto in Asia Minore, ma anche in Italia, in Francia e in Spagna. La minaccia dei Selgiuchidi portò all’emigrazione di gran parte della popolazione verso ovest, dove il Wilayet Sivas, la regione di Kayseri, Smirne (Izmir), i monti del Tauro e la Cilicia, la Grecia settentrionale e i territori dei Carpazi divennero centro d’insediamento armeno. Inoltre troviamo minoranze armene non soltanto in Siria, in Egitto e in tutte le città costiere del Mediterraneo, ma anche in Persia, in India, nelle isole Sonda e in Cina. Nel 1095, durante la prima Crociata, si formarono rapporti di parentela con la Francia e la Sicilia attraverso numerosi matrimoni.

In conclusione è utile sottolineare il fatto che i tappeti non devono essere intesi come dei semplici "drappi calpestabili", ma come dei veri e propri prodotti tessili dei fedeli cristiani e delle “icone anoggettuali”, oggetti di culto delle chiese cristiane d’Oriente e che, assieme ad altri prodotti tessili, rappresentano il più importante contributo armeno alla storia dell’arte mondiale.

I tappeti quindi sono parte integrante della cultura del popolo armeno, che ha più d'ogni altro, sofferto di innumerevoli spartizioni, saccheggi, spoliazioni, deportazioni, asservimenti, uccisioni, oltraggi, che è stata derubata della sua stessa arte, la cui paternità è stata attribuita in seguito ai conquistatori, in buona fede o attraverso manipolazioni. Il patrimonio della tessitura del tappeto orientale è una componente dell’identità armena e come tale deve essere concepito e valorizzato.

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Il "cane corrente": Origine e significato Stampa E-mail

fonte TappetiMagazine - Autore Alberto D.

 

I significati "tradizionali", consci ed inconsci, affidati ai diversi soggetti artistici hanno, da sempre, costituito un limite alla realizzazione di una rigida distribuzione cronologica e geografica dei linguaggi iconici e decorativi utilizzati nei soggetti artistici. E' il caso del motivo perpetuo a "cane che corre" o "cane corrente" onnipresente in tutte le culture inodeuropee e non solo. Questo motivo a greca frequente nelle bordure dei tappeti turchi e caucasici, più raramente in quelli persiani è un motivo presente anche nell'architettura romano-ellenica, nella tradizione egiziano copta e nelle espressioni artistico-mitologico-religiose cinesi. Proprio dalla Cina si sostiene che esso derivi, più precisamente come trasformazione di un ulteriore simbolo fenomenico conosciuto come il "Collare di nubi".

Il "Collare di nubi" è una decorazione simbolica appunto cinese, costituita da un cerchio con quattro o più elementi a forma di freccia polilobata volto a rappresentare la porta del cielo, un punto di intermediazione tra il terreno e il divino, come lo sono appunto le nuvole attorno al sole.

Ma al di là di una generalistica interpretazione della trasmutazione del simbolo da collare di nubi a cane che corre, non esistono oggettivamente documentazioni realisticamente esaurienti a supportare questa teoria. E' convinzione dell'autore che l'origine di ambedue i simboli (collare di nubi e cane che corre), traggano invece origine non dalla cultura e dalla religione cinese (vedasi buddismo) ma bensì da una cultura e da una religione precedente ed universale, quella paleolitica e neolitica.

Il rapporto fra l'uomo e il tappeto comincia dal Neolitico (6.000-3000 a.C.). L'artigianato tessile ha avuto come primo scopo la creazione di opere utili, alle quali ben presto gli uomini aggiunsero dei significati simbolici o celebrativi. Gli uomini del Neolitico nella descrizione degli eventi non raffiguravano fedelmente le forme naturali, ma utilizzavano spesso l'astrazione e l'iconismo. I loro segni erano molto stilizzati e convenzionali, al punto che sono stati sempre considerati come dei semplici 'motivi geometrici' o decorazioni senza mai sospettare il vero rapporto intercorrente tra disegno e simbolo. Interconnessione che invece diventa lampante nella più tarda trasformazione dello stesso attraverso il geroglifico: sistema di scrittura utilizzato dagli antichi Egizi, che combina elementi ideografici, sillabici e alfabetici. Fu proprio con la crescita e lo sviluppo della civiltà egizia che il comune bagaglio culturale originario delle popolazioni neolitiche iniziò un percorso di diversificazione culturale: In alcuni casi (greci, egizi e romani), più o meno conosciuto, in altri, perso nei meandri del tempo. La dea Madre, divinità comune in tutte le civiltà paleolitiche presumibilmente sorta durante una fase matriarcale, assunse nella civiltà dell'antico Egitto la forma di ISIDE, mentre in quella ellenica e romana assunse personificazioni distinte con ruoli distinti: Afrodite e Venere dee dell'amore, Demetra, Cerere e Persefone dee dei campi e del raccolto, Artemide e Diana dee della caccia. Alla base di tutte le culture e delle religioni vi è dunque il sincretismo con questa religione ancestrale ed universale, originata in terre mesopotamiche e poi sviluppatasi e diffusasi in tutto il continente afro-ed euroasiatico.

La Dea Madre - rappresentata spesso nelle culture più antiche con sembianze di Dea Uccello - era nata grazie all'osservazione e alla venerazione delle leggi della natura; era la fonte e la dispensatrice dell'umidità che dà la vita e, come un uccello acquatico, essa congiungeva il cielo e la terra. Il motivo del cane che corre che viene altresì riconosciuto anche e proprio come un'onda o più semplicemente come un "S" susseguentesi, rafforza l'ipotesi di una derivazione simbolica riconducibile a questo antichissimo culto anzichè più semplicemente al collare di nubi. Chi studia e conosce il simbolismo archetipo ha ben presente che la S non solo nel bagaglio iconico armeno rappresenta Dio, ma rappresenta anche il drago come custode dell'acqua e simboleggia il bene e la saggezza. Sempre connesso all'acqua vi è il drago cinese, incarnazione del concetto di yang nonchè portatore di pioggia e acqua in generale che i cinesi pregavano nei momenti di siccità considerandolo il loro padre. Il drago è pertanto una simbologia antichissima che discende dalle mitologie mesopotamiche e caucasiche originato dal bagaglio culturale della dea Madre nella sua versione marina e che attraverso il mercato della metallurgia intrappreso dagli armeni in estremo oriente si è probabilmente diversificato nella versione dello Chevron cinese.

C'è poi il motivo comunemente chiamato a zig-zag, molto simile al simbolo del cane che corre -probabilmente una sua forma iconica precedente- e che è il più antico motivo simbolico documentato. anch'esso rappresenta l'acqua corrente o i campi irrigati. Nel VI millennio a.C. la M singola, doppia o tripla si trova frequentemente anche nella decorazione centrale dei vasi greci e pre-greci. Il significato acquatico del segno M sembra essere sopravvissuto nel geroglifico egiziano mu, che significa acqua, e nella lettera greca mi.

Anche il motivo a meandro continuo, presente nelle cornici dei tappeti cinesi è un simbolo dell'acqua. Esso lo si può trovare, associato ai segni a M, a V o a chevron su statuette ornitomorfe femminili e su statuette antropomorfe della Dea Uccello.

Dopo quanto si è detto, riesce difficile all'autore attribuire al motivo del cane che corre un'origine cinese dal collare di nubi. L'universalità di questo simbolo qui documentata e comprovabile su qualsiasi testo specialistico di arti iconiche, dimostra infatti l'insussistenza della tesi che attribuisce l'origine di esso (come per tanti altri segni) a un influenza buddista e cinese ipoteticamente giunta esclusivamente attraverso le invasioni mongole, prima fra tutte quella dei Selgiuchidi di origine Oghuz.

E' chiaro infatti che di fronte a queste informazioni il simbolo del cane che corre diviene un simbolo archetipo, primigenio, primordiale, legato originariamente al potere della dea Madre e successivamente al drago custode dell'acqua e simbolo di deità che poi a seconda della complessità delle civiltà ha preso vie diversificate per significato e forma.

Va ricordato inoltre che la civiltà ellenistica e quindi anche l'Anatolia erano già figlie della medesima religione primigenia della Dea Madre, (non a caso Anatolia significa “terra della madre”), cultura che già 1400 anni prima delle invasioni Selgiudichi, si era ribagnata alla fonte grazie all'opera di Alessandro Magno, (quarto sec. a.C) quando con un'inarrestabile serie di conquiste materiali, aveva raggiunto le sponde dell'Indo. Lì l'incontro delle due culture, (quella greco-ellenistica e quella neonata buddista), diede origine a una sintesi artistico-religiosa destinata a diffondersi fino all'Estremo Oriente e in tutto l'Occidente che si riprodusse in una reinterpretazione di simboli stili e forme.

 

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La Russia e la storia del Tappeto Caucasico Stampa E-mail

 

L'unica nazione occidentale, da sempre conosciuta come uno dei centri di produzione principali per i Tappeti è la Russia. Incorporando due tra le regioni più attive in tal senso (il Caucaso e l'Asia centrale) infatti, la Russia ha avuto un'influenza enorme non solo sul mercato internazionale del tappeto, ma anche sulla cultura stessa dei popoli russi e sul costume che tale manufatto ha plasmato.

La prima regione ad essere incorporata fu il Caucaso. Nel 1700, l'impero russo cominciò il trasferimento nel Caucaso e nel 1830, dopo le guerre con la Turchia e l'Iran, fu stabilita l'area 'Transcaucasica', che comprendeva le attuali Repubbliche Transcaucausiche dell'Azerbaigian, dell'Armenia e della Georgia.

La conquista del Caucaso del nord, zona direttamente confinante con la Russia e comprendente l'attuale Cecenia e il Daghestan, è avvenuta molto dopo, in seguito a continue battaglie e rappresaglie, seguite da oppressioni e rivolte, conosciute in Russia come le "guerre del Caucaso", che durarono dal 1817 al 1864. A differenza di ciò che successe per la Transcaucasia, tali battaglie comportarono anche la deportazione e l'espulsione di massa dei popoli, centinaia di migliaia di circassi, che trovarono scampo, e a volte fortuna, in Turchia ed in Egitto, ma anche in Siria, Libano e negli altri stati musulmani adiacenti.

Per una strana coincidenza della storia, proprio nel momento in cui la Russia muoveva in questa regione antica e montagnosa, abitata da miriadi di culture ed etnie diverse, l'Europa viveva l'apice del Romanticismo; così, nonostante la triste realtà del soggiogamento di popoli fieramente indipendenti, questa visse l'esperienza di un'ondata "orientalista" Romantica, non dissimile da quella esemplificata "alla Byron" in Gran Bretagna.

Ma...a cosa somigliava questo "Orientalismo Russo"?

Una buona sintesi è fornita dal ricercatore Oleg Semenov in un articolo intitolato "Tappeti Orientali e Interni russi nel 19° secolo" (Oriental Carpet & Textile Studies, Part 1, 1987).

Egli osserva che "per i russi, il Caucaso, è un paese misterioso, il simbolo di una vita libera e naturale, caro ai giovani e romantico. Pensando ad esso, ci si ricorda degli eroi cosacchi di Puskin, Lermontov, o anche di Tolstoj".

Il nuovo fascino per l'Oriente e il gusto che ne deriva, potrebbe essere riscontrato in ogni aspetto, dalla letteratura alla decorazione di interni. Il Caucaso ha offerto un nuovo ideale per i giovani russi, che hanno colto l'occasione per rompere con le mode dei loro genitori, il "Classicismo", e idealizzare invece la spontaneità.

In casa, lo stile francese, fatto tipicamente di interni spaziosi con pavimenti a lucido, mobili disposti simmetricamente e tappeti europei "Savonnerie", era out. Il nuovo look, che faceva uso di tappeti e altri oggetti d'arte che arrivavano come bottino di guerra, era irrequieto, arruffato ed esuberante: "Spesso c'era un divano 'speciale', una sala fumatori o un bagno che venivano usati solo dagli uomini della casa, in cui tutti gli arredi rispettavano il nuovo stile "orientalista". In tali ambienti, era possibile vedere un tappeto di grandi dimensioni steso sulle pareti, e un altro utilizzato per coprire un ampio divano, secondo lo stile "alla turca". Armi del Caucaso, narghilè, chibouks (pipe in legno), brocche in ottone, e dei tavolini con vassoi incisi impreziosivano l'arredo. Il carattere internazionale del Classicismo lasciò il posto a una scelta di oggetti che creò un'immagine stilisticamente ben delineata, di seguito identificata come "Orientalista".

La mostra di tappeti e di armi provenienti dal Caucaso rappresentava anche una specie di culto della galanteria che idealizzava il coraggio individuale dei guerrieri orientali, in battaglia contro l'organizzazione degli efficienti e spietati eserciti occidentali.

Tale modello di galanteria romantica, insieme con la consapevolezza della definitiva condanna inflittagli dall'età moderna, è stato riassunto nel libro "Un eroe del nostro tempo" nel 1839 da Mikhail Lermontov. L'eroe della storia, un ufficiale immorale e incline ai duelli è, in realtà, un anti-eroe nel senso pieno del termine, che sconvolse i critici letterari del tempo. Un po' come Byron, si rifletteva nel suo individualismo feroce, e non nascondeva il suo disprezzo per i "guerrieri di montagna", che combattè, comunque ammirandoli, in nome della società moderna nella quale viveva. (Lermontov stesso, soprannominato il "poeta del Caucaso, fu ucciso in duello poco dopo la pubblicazione del suo unico romanzo).

Tutto questo può aiutare a spiegare come si creò questa commistione di generi e gusti, creando abitazioni arredate sia in modo occidentale che con tappeti e artigianato "Orientale".

I Tappeti del Caucaso rimasero per molto tempo sconosciuti nell'Europa occidentale, e apparvero nelle case europee solo molto più tardi, quasi alla fine del 19° secolo. Secondo Xavier De Hommaire Hell, un viaggiatore francese che visitò la regione nel 1847, il motivo va ricercato nel protezionismo dell'Impero russo e nella consolidata politica del favorire gli scambi interni rispetto al commercio estero.

Ad un certo punto infatti, i commercianti cercarono di esportare i tappeti e gli altri prodotti caucasici attraverso il principale porto russo sul Mar Nero (Odessa), ma furono costretti a depositare presso le autorità una somma doppia rispetto a quella del valore stimato del prodotto. Tale tassa sarebbe stata rimborsata solo una volta che il contenuto delle balle fosse stato verificato dagli ufficiali del porto. Se invece si voleva esportare facendo passare la merce per Mosca, veniva richiesto che tutti i prodotti provenienti dal Caucaso passassero prima a Tbilisi per lo sdoganamento e l'accertamento fiscale, creando un notevole aggravio di tempo e di spese, data la dislocazione "fuori rotta" della città Georgiana. E' naturale che tutte queste restrizioni scoraggiavano il commercio estero.

E' per questo quindi che anche Richard Wright e John T. Wertime, nel loro libro del 1995 "Tappeti caucasici & Cover" dicevano: "Ancora nel 1852 il numero di tappeti e tessuti esportati dall'impero russo era trascurabile".

Per fortuna, la situazione cambiò nei decenni successivi, in seguito ai cambiamenti politici e sociali che spazzarono via la vecchia Russia, portando poi fino alla Rivoluzione bolscevica. Il primo importante cambiamento lo realizzò "l'emancipazione dei servi della gleba" nel 1861. Ai servi liberati, che rappresentavano poco meno della metà di tutti i contadini, erano stati assegnati terreni, ma in realtà spesso la loro lavorazione non era sufficiente a far quadrare il bilancio. Così, il governo lanciò un programma chiamato "Kustar", che intendeva incoraggiare i contadini di tutto l'impero a produrre oggetti di artigianato per arrotondare il loro reddito agricolo.

Nel Caucaso, il programma Kustar fu realizzato invogliando gli abitanti a tessere e filare, fornendo loro telai, lana e modelli e spingendoli a prendersi cura della vendita dei loro manufatti. L'obiettivo fu raggiunto in breve tempo, e provocò dapprima il boom del mercato dei tappeti caucasici in Russia e poi, appena i funzionari zaristi iniziarono ad incoraggiare il commercio estero, un enorme aumento delle esportazioni verso i due grandi centri commerciali di tappeti del tempo: Istanbul e Londra.

Gli sforzi dell'esportazione ricevettero una ulteriore spinta nel 1880, con il completamento della ferrovia trans-caucasica, e presto, tonnellate di tappeti furono in movimento verso i porti russi del Mar Nero. Con l'inizio del 1880 quindi, l'Europa cominciò ad essere consapevole dei tappeti caucasici ed anzi, già dopo la presentazione al Salone Mondiale di Parigi (Exposition Universelle) nel 1878, questi cominciarono a divenire popolari, e ad entrare negli arredi delle più lussuose case di epoca vittoriana.

La Russia quindi, non solo divenne uno dei più importanti paesi consumatori, ma anche un grande esportatore di tappeti orientali. Mentre nel 1873 le esportazioni di tappeti dall'Impero Russo erano pari a 12.914 PUDs (1 pud = 16 kg) per un controvalore di 922.917 rubli, nel 1874 erano cresciuti a 17.781 PUDs per un controvalore di 964.675 rubli. Il volume di tappeti esportati continuò ad aumentare fino allo scoppio della prima guerra mondiale, e la percentuale maggiore delle qualità esportate, il 90-94 per cento, era rappresentato dai tappeti più costosi del Caucaso, mentre quelli meno costosi, prodotti in Asia centrale, erano per lo più destinati al mercato interno.

Purtroppo, la storia non finisce qui: Con la rivoluzione bolscevica del 1917, la guerra civile russa, e la creazione dell'Unione Sovietica nel 1922, la società russa visse un nuovo epico cambiamento, e gli effetti furono quasi fatali per i produttori di tappeti, fossero essi piccoli tessitori di villaggio, o grosse manifatture organizzate. I "Russi bianchi", dopo aver perso la guerra civile, scapparono via portando con sè i loro oggetti di valore, compresi i tappeti, per cercare di venderli all'estero. Il Gran Bazar di Istanbul si trovò a dover far fronte ad un'improvviso sovraccarico di tappeti, quegli stessi tappeti che pochi anni prima avevano arredato gli "interni alla Orientale" di epoca zarista, e che ora prendevano la strada dell'Occidente, dove iniziava a crearsi un settore in piena espansione. Nel frattempo, nella Russia comunista, il mercato del tappeto era praticamente finito. I beni di lusso erano diventati oggetti da disprezzare, nonostante fossero segretamente custoditi, e gli arredatori dovevano conformarsi alle nuove regole.

Semenov, nella sua già citata opera, descrive il cambiamento del primo decennio dell'Unione Sovietica, il nuovo stato d'animo, come un ritorno alla realtà più austera e razionale dello stile in contrapposizione al disordine del lusso del 19° secolo, quando la gente "usava tappeti sparsi su divani, braccioli, pareti e pavimenti".

Da un punto di vista più strettamente politico, i funzionari sovietici, pur considerando di scarsa utilità l'amore per i tappeti dell'epoca zarista, non posero immediatamente fine al programma Kustar. Lo stato anzi, continuò a sostenere la tessitura dei tappeti, come una "merce da esportazione". Tuttavia, il sostegno venne a mancare a quei tessitori singoli che lavoravano in casa, e in gran parte riutilizzato per finanziare  manifatture organizzate, che ricevevano e soddisfavano gli ordini di un centro-base per la pianificazione, diretto da funzionari di regime.

Il risultato fu che gli ordini per un tappeto con motivi a lungo identificati con una regione del Caucaso, venivano regolarmente forniti a centri di tessitura di altre regioni, con tradizioni locali molto diverse. I tessitori quindi, commettevano più spesso errori e, col passare del tempo, si è via via erosa quell'originalità, quel "sapore unico" dato da lignaggi e tradizioni locali, che fino a poco prima donava ai tappeti caucasici una identità riconsciuta a livello mondiale.

Dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, l'interesse occidentale verso i manufatti della regione è tornato a rivivere. Ma è ancora aperta la questione se i tappeti del Caucaso, dopo tanti decenni di abbandono, possano finalmente ritornare a quelle vette espressive e stilistiche che li avevano un tempo resi famosi.

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